Ricominciare

RICOMINCIARE

Parte I

Non è possibile, non sta succedendo davvero. Non sta succedendo a me, a noi! Seguivo la luce dei lampeggianti che si faceva largo in mezzo al buio lungo la superstrada vuota. L’orologio nella mia auto segnava le 4 del mattino. Ero seduta in macchina con ogni nervo del corpo teso e con le mani sul volante, aggrappate, quasi a voler trovare un sostegno, qualcosa che mi permettesse di non sprofondare all’improvviso nell’oblio. Al mio fianco mamma. Seguivamo l’ambulanza senza dire una parola. Rigide, infreddolite, spaventate con gli occhi puntati sulla strada e col cuore gettato altrove. Solo una chiamata ha spezzato il silenzio, quella di mia madre a mio fratello. Si è vestito di corsa, è uscito di casa e ci è corso incontro. Intanto, mentre la macchina divorava chilometri d’asfalto, ripercorrevo le ore precedenti cercando di capire cosa fosse andato storto. La cena l’aveva preparata lui, spadellava sopra i fornelli e fischiettava. Allora cosa era successo?

È questione di minuti. Lo sapevamo tutti e tre, anzi tutti e quattro. Assurdo che sessanta secondi moltiplicati appena qualche volta possano fare così drasticamente la differenza, segnare una linea netta tra la vita e la morte. Paradossale che un farmaco definito salvavita, in realtà, di colpo possa toglierla. Ce lo aveva spiegato il dottore il giorno stesso che prescrisse il farmaco a mio padre anni fa: “Si tratta di un anticoagulante, fluidifica il sangue ma c’è da stare molto attenti”. Certo, lo avremmo tenuto a mente, ma chi poteva immaginare che un giorno…

Eravamo lì, lungo il corridoio del reparto chirurgia: “Faremo tutto il possibile. Ma la situazione è davvero critica”. Quelle parole pronunciate dall’anestesista, mi sono arrivate come un pugno allo stomaco. Le frasi a seguire sotto forma di codice morse, frastagliate eppure col potere di riecheggiarmi in testa. Una, due, tre volte: Ha perso molto sangue, nonostante le trasfusioni. Molto sangue, nonostante le trasfusioni. È andato in shock emorragico, shock emorragico. Tre volte, tre volte, tre. Operarlo in queste condizioni è molto pericoloso. Si creerebbero altre emorragie. Altre emorragie.
Mi sembrava di vivere la scena di un film, con l’unica differenza che la donna a parlare mi appariva molto più umana ed empatica di quelle viste in tv. Cercavo conforto negli occhi di mamma, che tremava come una foglia, e in quelli di mio fratello, ma sembravano persi proprio come i miei, eppure lui si tratteneva e mi stringeva forte la mano, come a volermi dire “Vedrai che passerà”. Lo sapevo che dentro rischiava di implodere, ma non cedeva e lo faceva per noi due. Mi sono messa a pregare, come poche volte ho davvero fatto nella vita. Ho pregato che fosse solo un incubo per tutti noi. Ho pregato di poterlo riabbracciare. Ho pregato che non provasse dolore.
Come avremmo fatto senza di lui? Come avrebbe fatto nostra madre senza l’unico vero amore della sua vita? E poi, come avrebbe fatto mio padre ad andarsene così sapendo tutto quello che lasciava e tutto quello che ancora avrebbe voluto fare con noi, per noi? Lo so che è egoistico pensare certe cose, tenendo conto che ogni giorno ci sono figli che rimangono senza genitori o, peggio ancora, genitori che rimangono senza figli. Ma quando ci sei dentro non ti stai a preoccupare del resto della società, ma ti concentri sul tuo di dolore, che poi ognuno percepisce e vive a modo suo, e a quello di chi ti sta accanto.

“Stiamo per portarlo in rianimazione. Dobbiamo solo sperare che il suo fisico reagisca bene. Ora tutto dipende da questo. Sarà monitorato continuamente, non verrà mai lasciato. State tranquilli”. Non ho mai saputo il nome di quella dottoressa, avevo la mente talmente annebbiata da non ricordare quasi il mio di nome, ma ricordo il suo sguardo profondo che infondeva sicurezza e i suoi modi professionali, ma garbati… attenti a non ferire, attenti a non illudere, ma nemmeno a soffocare l’unico nostro barlume di speranza.
Mamma, mio fratello ed io, dopo quelle parole, ci siamo improvvisamente abbracciati consegnandoci al destino e al reparto rianimazione.

CONTINUA