Home Sui sentieri del vento Il Fiore della Vita

Il Fiore della Vita

il diario-romanzo

Immagine di pettirosso in volo tratta da euganeamente.it

CAPITOLO VII

15 MAGGIO

Stanotte l’orologio segnava le 5.45 quando ho salutato Pietro, un amico fraterno.

Sono le 9.00 e la luce penetra senza indugiare in questa camera, quasi a volermi interrogare, come faro puntato sul volto, sulla notte brava da poco trascorsa. Dopo essermi allontanato dalla Porziuncola, ancora confuso e un po’ malinconico per Valentino, per quel che era stato, per le sue lacrime, per i miei interrogativi, ho raggiunto, sul lato destro della basilica, Pietro e un altro ragazzo che mi attendevano in auto. Nonostante l’appuntamento fosse più tardi, loro erano già lì, carichi, pronti per chissà quale avventura.

Le cose più banali divengono leggende, il sorriso di una ragazza si trasforma in una storia d’amore fugace, una bottiglia di vino in tre si moltiplica nei racconti e nella mente come la trasformazione miracolosa dell’acqua in vino alle nozze di Cana, tutto è amplificato nei ricordi quando si è in buona compagnia. Ma quella notte passata tra i borghi di Perugia e le vie di Foligno, era stata realmente una gran bella uscita, non tanto per le imprese quanto per il piacere di condividere il momento, l’attimo che non ritorna, il desiderio di volersi vedere più spesso, consapevoli che tra circa quarantotto ore, ognuno di noi sarebbe tornato alla sua città, alla routine, più che altri io, loro avrebbero continuato a vedersi da buoni concittadini. Bicchieri tintinnanti, sorrisi, pseudo conquiste, frutto più del buon vino che non del nostro fascino. Tutto sapeva donare un sorriso rivissuto nella mente che, appena sveglio, rielabora in fotogrammi la serata. Tutto fuorché un leggero senso di nausea mi rammenta che, prima di ogni cosa, adesso, occorre fare una doccia e due passi per riprendermi. Sistemo le mie cose in camera, doccia e sono giù, in un cortile non molto ampio che si apre su un lungo viale, delineato ai lati da cipressi e al cui lato destro vi è un importante recinto dove, liberi, trottano alcuni puledri. Fare colazione subito vorrebbe dire rischiare di rovinarsi l’intera mattinata, considerato lo stomaco ancora in subbuglio. Decido di percorrere l’intero viale alberato, fino al cancello d’ingresso per poi tornare indietro, nella speranza che dieci minuti di aria pura e di leggero moto non possano farmi altro che bene.

Cammino ed un profumo di lavanda e rosmarino inebria i miei sensi, adesso, completamente distesi ed in pace col mondo. Dal luogo in cui sono, Assisi si staglia imponente in alto, sulla mia destra. Il ricordo della magia delle luci notturne lascia il passo all’attimo presente, alla pacata luminescenza della pietra rosa, che brilla senza abbagliare, quasi a voler accarezzare lo sguardo, oltre che l’anima dei suoi figli. Cammino cadenzando lentamente il passo, quasi a voler rallentare lo scorrere del tempo, per godere ancor più intensamente quel meraviglioso sentiero. Plana un pettirosso, si poggia a terra, saltella senza paura verso di me, quasi a darmi il benvenuto. Lo fisso, si ferma. Rimango allora immobile per non impaurirlo, è un uccello che ho sempre adorato e, per qualche strano gioco della mente, ho sempre associato la sua presenza alla memoria del mio caro nonno.

Rimaniamo lì, immobili per pochi secondi, finché decide di spiccare il volo esattamente nella mia direzione, un volo basso, quasi a sfiorarmi il capo. Per seguirlo con lo sguardo, devo voltarmi indietro e poi a sinistra, si posa sulla staccionata del recinto in cui, adesso, i cavalli prendono da mangiare dalle mani di un ragazzino, protetto ai lati da un uomo e una donna, presumibilmente i genitori.

 “Non è possibile!”, sussurro dentro di me,

 “li conosco, è Valentino con i genitori, tutti insieme per la prima volta ai miei occhi”.

Flashback.

Il ragazzo sembra aver ritrovato la vitalità di sempre, la visione di ieri in chiesa  pareva un lontano miraggio di fronte a tanta freschezza. Umberto gli mostra come comportarsi con i cavalli, aprendo piano la mano per farla osservare ai puledri, per poi, con delicatezza accarezzarli sul collo.

Valentino segue pedissequamente i suggerimenti del padre, mentre la madre osserva il figlio con occhi sempre apprensivi. Mi avvicino con discrezione per origliare qualche parola della famiglia che, fino a ieri, credevo fosse ormai finita. Non odo una parola, semplicemente sguardi e sorrisi che accompagnano la corsa di lato al recinto, quasi a voler invitare i cavalli al gioco.

Umberto prende per mano il figlio e, bisbigliando qualcosa, si incamminano verso la struttura recettiva che, al piano terra, offriva il servizio bar-ristorante. Non volevo perdermi quei momenti, volevo saperne di più, avrei voluto seguirli ma riecco il pettirosso venirmi nuovamente incontro, volando radente al mio capo, quasi a volere adesso lui le attenzioni della scena, inducendomi a voltare nuovamente lo sguardo verso di lui ed il sentiero lasciato per qualche istante.

Il volo si conclude in un albero, dove non riesco, mio malgrado, più a scorge lui e tantomeno Valentino.

Tutti spariti, sono nuovamente solo in quel sentiero baciato da sole e natura.

“Ma com’è possibile? Cosa vuol dire? Ieri il pianto del ragazzo davanti alla croce ed oggi una seconda visione a mostrarmi, per la prima volta, la famiglia unita, serena, ai piedi di Assisi, in quel luogo a me caro, ma perché?”.

Mentre mi interrogo, camminando, inizio a prendere a calci un sasso, così come facevo da piccolo, in assenza di un pallone.

“Sarà, forse, che quelle lacrime sono giunte davvero dinanzi al Cristo, così da rendere possibile il desiderio intensamente anelato ai piedi della croce, dal ragazzo poco più grande di un bambino, da un figlio che null’altro chiedeva che riavere un padre e una madre?”.

Ricordo una parola di San Paolo, la quale mi sussurra che “nulla capita a caso”, e, per chi come me, non crede assolutamente alle situazioni che accadono “per caso”, tutto ciò ha un senso che ritrova la sua compiutezza in quelle due visioni: la preghiera riposta con fiducia nelle mani di Dio e l’immagine successiva della sua famiglia riunita, in quel luogo santo. Quanto tempo sia trascorso, dalla preghiera al giorno in cui i suoi genitori hanno deciso di riavvicinarsi poco importa, certo Valentino sembrava un po’ più grande, ma di poco, al massimo un anno. Le sirene del divorzio, in quel momento, sembravano, anzi, erano certamente state fatte tacere, dando spazio al suono armonioso di una famiglia ritrovata, e probabilmente rifondata su un amore certamente non conosciuto fino a quel momento, l’amore di Dio.

“Può essere una preghiera forte a tal punto da parlare ai cuori di due adulti, che prima di arrivare a tale considerazione avranno certamente litigato e parlato più volte, fino a dover sopportare anche la sofferenza del frutto del loro amore, il dolore di un figlio?”.

 Vado convincendomi sempre più che le ragioni del cuore vanno ben oltre ogni più logica deduzione della mente. Questo discorso, però, mi sfugge.

“Perché intervenire lì dove non c’è più accordo, desiderio di stare insieme, quale il senso?”.

I Bambini possono tranquillamente crescere con il padre e la madre distanti o, semplicemente, soltanto con uno dei due, con il tempo capiranno, non è giusto che anche loro paghino gli errori dei grandi. Probabilmente Umberto e la moglie avevano preso la decisione migliore poiché, resisi conto della impossibilità di vivere serenamente insieme, delle distanze caratteriali, hanno optato per una separazione che giungesse magari ad un divorzio. Sono motivazioni pacifiche, logiche e più che condivisibili da qualsiasi uomo o donna di buon senso. Eppure continua a sfuggirmi qualcosa nella considerazione di quell’evento. Se è da ritenersi giusto, secondo logica, separarsi, perché ascoltare la preghiera di un bimbo che, magari, solo per infantile egoismo e desiderio di attenzioni, voleva i genitori tutti per sé, sotto un unico tetto, in un’unica e sola famiglia? Adesso che ci penso, Gesù è nato in una famiglia, composta da un padre e una madre, eppure Giuseppe dovette accettare un figlio non suo, dovette credere in un amore più grande che si manifestava a lui, al di là della sua comprensione. Ma vuoi vedere che davvero Dio creda così tanto nella famiglia, tanto da intercedere per coloro che a Lui si affidano ed aprono il loro cuore, al di là delle ragioni e dei torti, in modo da sovvertire ogni più sottile raziocinio, semplicemente con la forza del Suo amore?

Ormai l’aria finissima della primavera umbra ed il tiepido sole mi hanno completamente riabilitato. La passeggiata, seppur breve ma intensa di emozioni, mi ha riportato nuovamente nella zona del bar da cui non voglio più esimermi dal compiere razzie al buffet ancora ben imbandito, nonostante l’ora sia tarda per una colazione. I prodotti tipici della tradizione umbra adornano il buffet,  credo lasciato appositamente lì per chi, come me, di svegliarsi presto la mattina non ne vuol proprio sapere. Una deliziosa torta al testo, farcita con del prosciutto scuro, quasi nero, di un sapore intenso e profondo, della torta al formaggio, yogurt ed una mela. Non volendo abusare della pazienza dei responsabili di sala che, adesso ne sono certo, aspettavano soltanto che finissi di mangiare per riassettare l’ambiente, decido di andare via. Torno in camera, preparo i bagagli, saldo il conto ed entro in auto. Attraverso nuovamente quel lungo viale alberato. Lo percorro molto lentamente, quasi a voler ripetere il gesto precedente, ma tutto adesso è diverso. Ho deciso di partire e di non prolungare fino a sera, quella dolce agonia nostalgica che mi coglie ogni qual volta devo lasciare Assisi.

I ricordi, il desiderio, la non accettazione della mia condizione presente, che mi vuole via da quel luogo, non nella mia terra elettiva ma esiliato nel luogo dei miei natali, senza alcun motivo valido per dover tornare, se non la necessità di non poter prolungare il mio soggiorno in Umbria oltre le ventiquattro ore.

Il brusio interiore non mi aiuta, lo so, ma non riesco a contenere il magone. Una forza sconosciuta anche al mio intuito mi trattiene in quel luogo, ma son chiamato altrove. “Quale ingiusto destino!”, penso, eppure devo andare ed affrontare la mia vita. Non lo vorrei, ma devo.

Potrei cercare un lavoro qui, potrei accontentarmi inizialmente di poco e così vivere sereno, in fondo il denaro non è tutto, con il tempo poi mi affermerò!”,

così dico a me stesso, mentre guido verso casa. Sono parole al sapor di morfina, mi danno sollievo in nel momento ma, dentro di me, so molto bene che  ad attendermi ci sono impegni di studio che mi costringeranno a vivere, ancora per qualche tempo, ai “domiciliari”. Proseguire un percorso, un vecchio progetto che mi porterebbe ad una realizzazione professionale differente oppure cercar fortuna qui, nella Valle del Lupo?

“Qualche anno ancora di sacrificio e, tornerò con un lavoro serio, per non andar più via, se non per una vacanza!”.

La risposta che do a me stesso mentre, nello specchietto retrovisore, l’immagine di Assisi e il monte Subasio divengono sempre più piccoli, sempre più distanti ed io, sempre più triste, seppur con un obiettivo a lungo termine in tasca. Lungo il sentiero della vita, può accadere di essere condotti dove non si vuole, ma dove è necessario che si vada. Una lezione, per me, sempre troppo amara, difficile da accettare. Vorrei piegare gli eventi al mio volere, ma è sempre la vita a farmi genuflettere alle sue dinamiche, all’imponderabile, a quel che non vorrei. Ho la sensazione di sbagliare approccio con le difficoltà, di ingannarmi con i desideri, di gettare sempre lo sguardo oltre il mio presente, ritrovandomi così sempre più insoddisfatto. Qualcosa non va eppure non riesco a fare a meno di questo precario equilibrio di strutture mentali che ho creato per sopravvivere.

“Passerà prima o poi”,

ripeto a me stesso, nel timore consapevole che, quelle parole, fossero l’ennesima illusione, estratte dal cilindro dell’insoddisfazione.

Di Alfredo Francesco Caiazzo

Exit mobile version