Il Fiore della Vita

il diario-romanzo

Immagine di Assisi tratta da Italia.it

CAPITOLO VI

14 MAGGIO

Adoro viaggiare.

Credo che il viaggio costituisca un bagaglio importante nella formazione di un uomo. Prima o poi tutti, seppur per un breve tratto, abbiamo bisogno di partire, perché dobbiamo o vogliamo, che ci piaccia o meno, il mettersi in cammino verso un luogo che non sia casa ci spinge oltre, si perdono i più comuni ed ordinari riferimenti del quotidiano, i cosiddetti “paletti”, i luoghi a noi più familiari, le sicurezze vengono permutate per nuovi riferimenti che, per quanto possiamo aspettarci, costituiscono per lo più una sorpresa. Essere lontani dal quotidiano permette di adattarci a nuove situazioni, ci fonde in nuovi usi, in nuove percezioni, siamo spinti oltre i nostri confini territoriali, oltre i limiti della routine.

Può accadere di andare lontano, giungervi e avere la netta sensazione di sentirsi a casa, a volte più di quanto non lo sia la città natale. Il giornalaio, il forno, le scuole, il cielo, le strade, fin anche le persone, tutto appare così inspiegabilmente familiare. Sensazione a me nota ormai da vent’anni, ogni qual volta mi reco ad Assisi, nella verde Umbria. Sin dal primo giorno che, viaggiando con mio padre, scorsi i tratti rosa pastello della città antica rifulgere come quarzo baciato dal sole, capii che quel luogo era speciale. Ho sempre avuto la strana sensazione che qualcosa lì mi stesse aspettando. Forse quel luogo è davvero casa e prima o poi vi ritornerò per stabilirmi, o più semplicemente potrebbe essere il frutto della speranza di una vita diversa, di qualcosa che non sarà mai.

Certo è il sempreverde amore per quella terra, lo stile di vita semplice, per l’aria buona che sussurra ogni volta al ritorno: “bentornato a casa!”. Preparo di corsa le valigie e sono subito in auto, circa cinque ore di viaggio mi separano dal weekend in Umbria, dalla mia “casa ideale ”. È importante, per me, rompere la routine, la mente ed il corpo lo richiedono spesso ultimamente e non sempre riesco ad accontentare pienamente le loro esigenze, ma ci provo per quel che posso. Una sosta, due soste, supero Roma, Orte, Terni, Spoleto, finché non la vedo, come vent’anni or sono, Assisi stagliarsi sulla mia sinistra, con il Monte Subasio dietro di lei, come gigante messo al mondo per proteggerla. Forse nulla di cui avevo ricordo è mutato, anzi proprio nulla, semmai migliorato nei servizi essenziali.

Il paesaggio è lo stesso da vent’anni, incastonato come un brillante nel tempo dei ricordi. Potrei condurre l’auto ad occhi chiusi per le strade che mi conducono ad un agriturismo a me caro, a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla Basilica di S. Francesco, nella pianura sottostante l’antico borgo. Giunto a destinazione mi sbrigo a sistemare in camera i bagagli, telefono agli amici più cari, sorpresi di sentirmi lì, e con loro organizzo un’uscita serale. Ma qualcosa di più profondo mi chiama fuori da quella camera, forse sarà soltanto la frenesia di rivivere un luogo che sempre mi ha accolto come suo figlio. Esco, prendo l’auto e parcheggio nel centro di Santa Maria degli Angeli, frazione di Assisi, famosa per la sua Porziuncola, piccola chiesetta in pietra intorno alla quale si svolsero alcune vicende importanti legate alla vita di San Francesco e, sopra la quale, oggi si erige un imponente santuario, meta di pellegrinaggio internazionale.

Fermo l’auto nei pressi di una scuola media, da me frequentata anni or sono e da lì inizio a passeggiare, tranquillo, senza essere schiavo del tempo. Sono quasi le quattro del pomeriggio ed è una splendida giornata primaverile. L’insegna di un bar-pasticceria, dove spesso mi recavo con mio padre da ragazzino, mi ricorda gli ottimi dolci prodotti dalle maestranze locali. Perché resistere a questa dolce tentazione: entro e chiedo un cappuccino e due bomboloni alla crema, per la soddisfazione del mio palato e del proprietario del locale. Appagato e per nulla disgustato dal palese eccesso di zuccheri, proseguo lungo il marciapiede. Incrocio alcune facce a me note, ma non li riconosco. Poi turisti, militari e piccioni. Vi sono piccioni ovunque nel mondo, ogni paese ha i suoi stupidi piccioni! Credo siano le creature del regno animale a contendersi la palma di esseri più inopportuni, insieme ai topi naturalmente, i quali differiscono dai volatili per essere assai più intelligenti e discreti nel loro fare, seppur sempre non graditi. In un solo istante, il fastidio per quei pennuti sparisce dinanzi alla magnificenza al di là della strada: il santuario della Porziuncola.

Sono le quattro e mezzo del pomeriggio ed il mio appuntamento con i ragazzi è tra circa tre ore. La “gola” è appagata e, più tardi, sono certo lo sarà ancor di più. Rimango per un minuto a fissare, senza muovermi, l’imponenza della chiesa che funge da piedistallo ad una mirabile statua dorata della Vergine Maria, la quale, in alto, con le braccia aperte, sembra volermi accogliere ed invitare in casa sua, come la migliore delle madri. Rifiutare un simile invito sarebbe stato a dir poco scortese. Attraverso la strada, varcando a piccoli passi le porte del santuario. Lo stile è essenziale, austero ed imponente allo stesso tempo. Tutto giganteggia intorno alla piccola porzione di pietre, collocate lì da ottocento anni, attorno alle quali meraviglie vengono narrate allorché il santo di Assisi, iniziò prima a sistemarle e poi a viverle.

Il silenzio accompagna i miei passi, una pace mi pervade il cuore quando all’inginocchiarmi nell’antica chiesetta, sgombro la mente dal frastuono dei pensieri. Chiudo gli occhi per un istante e sono sempre in quel santuario, ma poco più avanti, in una navata laterale. Un ragazzo dalle fattezze a me familiari è in ginocchio di fronte ad un crocifisso che si erige, in alto, sopra di lui: flashback.

Valentino è in ginocchio, gli occhi tristi ma ben aperti, la testa volta all’insù ad osservare anch’egli il volto di Cristo. Percepisco una malinconia mai avvertita prima di allora nello sguardo del ragazzo, decido di avvicinarmi. È impassibile, in silenzio, in ginocchio, nessuno intorno a noi. Una lacrima scorre giù dal viso di bimbo cresciuto, forse, troppo in fretta. Una voce a quel punto, la sua, scolpisce quel livido silenzio:

«Gesù, ti prego, fa che i miei genitori tornino insieme, se puoi riunisci la nostra famiglia!».

Apro allora gli occhi e sono ancora lì, genuflesso nella chiesetta. Una lacrima, quasi a voler suggellare il momento vissuto poc’anzi, scorre sul mio viso. La preghiera di quel bimbo, ai miei occhi così benedetto dalla vita fino ad allora, mi aveva toccato profondamente. Non un semplice desiderio di fanciullo della sua età, non qualcosa per se stesso, non la preghierina del catechismo, ma il desiderio profondo che null’altro chiedeva se non riavere insieme i suoi genitori, la sua famiglia.

Con chi viveva adesso Valentino?

Cosa poteva essere accaduto alla famiglia osservata più volte fino ad allora?

Un pensiero balena nella mia mente, che Valentino fosse stato toccato duramente dalla vita, la quale dopo avergli sorriso nei primi anni della sua radiosa esistenza di principino, iniziava a provarlo nel fuoco.

Vicende che mutano il decorso, entrano dentro e segnano vite intere. Una preghiera, il desiderio legittimo e forse fuori moda di avere con se i suoi genitori, la famiglia unita, eppure quella era la sua volontà, la richiesta non filtrata da alcuna corrente di pensiero. Gli occhi, profondi e lucidi, semplicemente guardandoli, avrebbero raccontato, senza che fosse stato necessario dar fiato alla bocca, la solitudine del momento.

Avrebbe l’Onnipotente ascoltato la sua voce?

Mi sollevo dal gracile e datato inginocchiatoio e, passando per la porta stretta, punto l’uscita della Basilica. Il tempo è letteralmente volato, manca circa mezz’ora all’appuntamento con i ragazzi. Avrei voluto che Valentino fosse stato con noi, per rassicurarlo e dirgli che, nonostante tutto, nella vita avrebbe dovuto mantenere quel sorriso contagioso che aveva rapito anche me. Avrei voluto che sorridesse ancora ma nulla può essere più d’aiuto quanto un’esperienza vissuta.

Ecco i momenti in cui, l’unica compagna di viaggio parrebbe essere la solitudine, una presenza silenziosa vicina nelle scelte più difficili. Anche Valentino, quel pomeriggio, in ginocchio, era in sua compagnia, dinanzi ad un bivio: soffrire con speranza o soffrire nella rassegnazione.

Di Alfredo Francesco Caiazzo