Il Fiore della Vita

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Navata centrale della Basilica Paleocristiana Navata centrale della Basilica Paleocristiana o Chiesa dell’Annunziata con le file di colonne che dividono le due navati minori, in fondo l’abside. Immagine tratta da basilicapaleocristianapaestum,it

CAPITOLO V

13 Aprile

Come tutte le domeniche, anche oggi, più per desiderio di ascoltare una parola che per consuetudine cristiana, mi accingo alla basilica paleocristiana di Paestum per partecipare alla messa. Sono stato educato, sin da bambino, al culto cristiano cattolico, una tradizione di famiglia della quale ho iniziato ad apprezzarne il senso probabilmente soltanto nell’ultimo decennio.

Quando ero piccolo ascoltavo la messa domenicale perché indotto da alcuni miei familiari e, nel mio intimo, durante la settimana recitavo alcune preghiere, di quelle che si insegnano al catechismo. Andavo a messa con i miei genitori, con i nonni. Lo facevo perché “dovevo”.

Crescendo, ho iniziato a dar forma ad alcuni quesiti interiori, chiedendomi se quel che stessi facendo fosse soltanto una sana abitudine, un’antica tradizione da rispettare, o realmente giusta per me.

Perché ascoltare la messa?

Perché pregare?

Non basterebbe seguire i propri principi morali, i valori laici trasmessi dalla famiglia?

Vivo davvero tutto questo in pieno spirito di libertĂ  o sono soggiogato e assuefatto dalla tradizione?

Ho sempre creduto in un’entità superiore benefica, uno Spirito creatore e ordinatore.

E poi, quante similitudini esistono tra le religioni monoteistiche, le confessioni del ceppo abramitico come l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam.

E ancora, dopo aver scelto confermato il mio essere cristiano, la Chiesa cattolica costituisce il percorso migliore per me?

Questi e ben altri interrogativi si affollano nella mente, mentre percorro il breve tragitto che separa il parcheggio dalla Basilica.

Sento una preghiera lontana. Davanti a me l’altare in una chiesa costruita in una sorta di caverna, vi è roccia ovunque, la mia mente adesso è in un altro luogo: flashback.

Posta in alto, la statua in marmo bianco di Dio Padre, sopra una nube sovrasta lo spazio consacrato sottostante. La Madonna di Fatima, l’altare in marmo e lì, vicino il tabernacolo, due prelati, uno di origini africane, l’altro italiano di corporatura robusta, accanto a loro altri uomini vestiti da chierici intenti a pregare. La chiesa, non molto grande ma strutturalmente accogliente, è gremita di persone.

Mi volto indietro e la roccia avvolge un altro piccolo altare in cui vi è posto l’antico quadro raffigurante Maria Madonna dell’Avvocatella. Poco più in là, quasi al centro della grotta, una statua di San Michele Arcangelo con la lancia colpisce il maligno. L’immagine sovrasta i fedeli che si accalcano fin sulla parete di pietra che delimita il confine perimetrale del santuario.

Guardando bene sotto quel piccolo altare nella roccia, scorgo due figure a me familiari, sono Valentino e la nonna Ginevra. Valentino davanti alla nonna, ormai quasi raggiunta in altezza, dietro Ginevra con le mani appoggiate sulle spalle di Valentino e un’espressione che, da sola, basterebbe ad infondere serenità. Tutti sono rivolti verso i chierici, come se aspettassero l’inizio di qualcosa d’importante. I due sacerdoti rompono il momentaneo silenzio con una preghiera.

«Spirito di Dio vieni, scendi su di noi!». E’ come se l’intera chiesa iniziasse a pregare, voci all’unisono si alzano in coro nell’atmosfera surreale per le vibrazioni che emana. Ancora preghiere in italiano, latino ed una lingua incomprensibile, ma ecco alcuni stridere, come se provenissero dal cuore della caverna, urla sovraumane che percepibilmente detestavano la preghiera. Sento forti rumori, intorno a me alcuni cadono a terra come sacchi di cemento. Vedo una strisciare, muoversi come un serpente lateralmente ad una panca in legno. La preghiera sale, dentro di me il gelo, una scena mai vista prima d’allora. Valentino e Ginevra sono poco distanti da me, assorti in preghiera, non si guardano intorno, con gli occhi fissi all’altare, verso il tabernacolo in quell’invocazione che, sempre più forte, pervade il circostante.

Sento la terra tremare sotto i miei piedi, credo che la preghiera sia al culmine della sua forza, una sensazione di serena e non sottile paura allo stesso tempo spinge a non guardarmi intorno, a non assecondare la curiosità di volgere lo sguardo sui caduti, ma come il piccolo Valentino rimanere assorto nell’invocazione.

Tutto vibra fuori e dentro di me. Quel che mi circonda mette i brividi. Sento dietro un latrato, una lingua urlante a me sconosciuta. Si dimena, accorrono persone per tenerlo, non lo guardo, mi volto soltanto per vedere cosa stesse facendo Valentino. Il ragazzo prega e con lui la nonna, prega anche lei, pregano cantando, come tutti, come se quell’unico corpo di fedeli orante stesse cacciando via ogni manifestazione del male presente. Scorgo delle braccia tenute da molte mani, sembrano essere più lunghe del normale, sette, forse otto persone intorno a quella donna, sì, è una donna lì per terra che, con voce non sua e forza spaventosa dimena il corpo e le persone che tentano di placarla.

Non oso oltre, chiudo anch’io gli occhi come Valentino e inizio a pregare più forte. L’eco e la profondità della preghiera superano d’intensità le alte e strazianti grida dei posseduti. La terra non trema più, il canto d’invocazione è terminato. Sono scosso, positivamente provato da tutto quel che era successo fino a qualche istante prima. Alcune figure umane, prima in piedi, adesso sono adagiate a terra, dormienti, accudite da altri uomini intorno a loro. Non vedo più Valentino e Ginevra vicino a me, probabilmente saranno usciti al termine della preghiera. Superando due persone svenute a pochi passi da me, esco anch’io dalla chiesa. Antistante l’ingresso del santuario, delle ceramiche vietresi ritraggono, incastonate nella roccia esterna, San Michele Arcangelo. Un grande piazzale, l’aria purissima, sembra di essere immerso in un bosco e probabilmente lo sono.

Il ragazzo è all’estremità di quel piazzale, panoramico su di un verde lussureggiante. Ginevra non è con lui, e Valentino, guardando la via sottostante, sembra aspettare qualcuno. Dura pochi istanti l’attesa, un colpo di clacson risuona dalla stretta via, e così si fionda verso il cancello d’ingresso per abbracciare il padre. Ecco apparire nuovamente Ginevra, uscita da un locale adiacente l’ingresso, con una valigia. La nonna, Umberto e Valentino, insieme, nel piazzale quell’antico Santuario così particolarmente vivo di spiritualità, si salutano, si abbracciano, lasciando trasparire tutta l’energia ed il bene sincero tra loro.

Padre e figlio, dopo aver posto la valigia nel portabagagli, entrano in auto e, senza correre, percorrono la stretta via in salita, finché l’immagine dell’auto non scompare alla prima curva sulla sinistra. Ginevra li osserva andar via, mentre una lacrima scorre sul suo viso imperturbabile di nobildonna, che nulla solitamente lascia trasparire se non l’emozione di un istante, come se sapesse che non li avrebbe più rivisti chissà per quanto tempo, come se non avesse voluto augurargli quel viaggio, ma un bene diverso.

Abbasso gli occhi e vedo le mie gambe, sono seduto su una panca di legno, il sacerdote ha appena iniziato l’omelia. Eccomi nuovamente a Paestum nella basilica paleocristiana, la messa è già iniziata da qualche minuto. Memore del flashback di pochi istanti prima, mi guardo intorno con aria preoccupata, in fondo è una chiesa anche questa. Mi faccio coraggio, cercando di non ripetere nella memoria il suono, le urla disumane degli istanti trascorsi, ma ascolto l’omelia come se quel sacerdote dovesse esorcizzare, adesso, la mia psiche che ritorna inevitabilmente a quei momenti così intensi e controversi di bene e male. La messa dura circa un’ora ed io, uscito fuori, mi incammino nuovamente verso l’auto, un vecchio amico mi aspetta. Penso alla superficialità con la quale si affrontano le questioni spirituali.

Se immaginassi una forma estrema del male, mi verrebbe da pensare alle guerre, al terrorismo, agli efferati omicidi, alle torture. E ancora alle più ordinarie ingiustizie sociali, ai licenziamenti ingiustificati, a quella parte di magistratura corrotta e inefficiente che genera disastri, al cattivo medico che opera lì dove non sia necessario farlo, l’invidia che produce cattive azioni, un male fisico e tanti altri esempi potrebbero addursi all’idea generica di male.

 Ma come percepisco il male nella mia esistenza?

 Quale il fil rouge?

Credo siano stati scritti trattati sulla forza del male, sulla sua natura, sull’esistenza o inesistenza dello stesso. Immagino che il concetto di bene e male accompagni l’uomo sin dalla notte dei tempi, così come penso sia sciocco da parte mia, poter avere la presunzione di conferire delle “etichette” ad un pensiero immortale per definizione. I miei soli strumenti sono l’esperienza e la ragione che, nel mio caso, si accompagnano ad una miserevole fede, ma non vorrò considerare quest’ultima adesso, per tentare di capire fin dove posso spingere la mente nella rielaborazione di questa rara manifestazione che ho vissuto in visione. Quei corpi cadevano come macigni sul pavimento, altri straziati da qualcosa all’interno che non faceva parte di loro, che li induceva a ribellarsi, a urlare in modo disumano, a imprecare, a contorcersi, a deformarsi, ma perché? Cosa stava accadendo realmente?

Perché all’udire quella fortissima preghiera, in grado di sprigionare una forza tale da far tremare la terra sotto i piedi, quelle povere persone si trasformavano?

 Eppure, poco prima eravamo tutti lì, in apparente quiete, di fronte a due sacerdoti, una scena assolutamente comune per chi, come me, frequenta periodicamente luoghi di culto. Dove risiedevano dunque quelle forze malefiche, l’energia terrificante che ad un tratto ha dovuto manifestarsi, prima celata negli involucri carnali di quella povera gente.

 Si nascondevano forse?

Se volessi colpire un nemico e non avessi la forza di affrontarlo apertamente, perché rivelarmi vorrebbe dire permettergli di prendere delle contromisure per combattermi, la migliore soluzione sarebbe rimanere nascosto, invisibile, attaccando nel buio senza poter essere scoperto. Diverso invece sarebbe se fossi un uomo, senz’armi, ben vestito, distinto, intelligente, capace di creare un feeling tale da indurre l’altro a fidarsi, ad abbassare le sue difese, per poi colpirlo. Esempi banali che ricondotti all’esperienza di oggi, mi inducono a chiarire interiormente quanto avvenuto in quella chiesa rocciosa, lanciando lo sguardo a quel che quotidianamente si affronta.

 Mi ripropongo pertanto la domanda: quelle forze tentavano di nascondersi, di camuffarsi?

Probabilmente sì. La preghiera dei sacerdoti li ha turbati al punto da doversi manifestare.

Io stesso sentivo essere pervaso da quell’energia positiva, bellissima, commovente a tratti, portatrice di pace. Forse il motivo di tale sofferenza era dovuto dalla lotta tra una forza liberatrice penetrante e l’altra resistente all’uscita, l’antica lotta tra bene e male, quella che tanto mi hanno raccontato sin da bambino, la causa giustificatrice di guerre reali e fiabesche, la battaglia che ognuno di noi affronta nel discernimento quotidiano, era lì, materializzata quasi del tutto, nelle membra di quei poveri mortali.

L’indefinito è divenuto finito al cospetto dei presenti, il bene ed il male, nella loro essenza più intima, spirituale, si sono manifestati innanzi a tutti, nel cuore di ognuno, nel mio animo consapevolmente turbato e, probabilmente, anche in Valentino.

Alfredo Francesco Caiazzo