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La mia gru

LA MIA GRU

Parte I

Mi affascina così tanto conoscere persone di culture e generazioni differenti, restare ad ascoltare le loro storie per poi tornarmene a casa con la foga di scrivere, di appuntare ogni minimo dettaglio e con la sensazione di essere stata chissà dove, di aver rubato un piccolo pezzetto di mondo. Questo mi dico mentre chiudo lo sportello dell’auto e appoggio delicatamente la mia gru di carta vicino al cambio.
Non mi capita con tutti, ma solo con chi ha l’animo in fiamme, con chi quando ti parla ti guarda dritto negli occhi e se ti racconta qualcosa per cui valga la pena emozionarsi non si vergogna ad esternarlo.
I tipi così li riconosci al volo: hanno lo sguardo altrove che si accende magicamente quando si parla di progetti e il passo leggero, nonostante i pesi sul petto.
I tipi così hanno cicatrici profonde che solo il tempo può rimarginare e almeno un sogno, a portata di mano,
nella tasca dei jeans perché sanno bene che non c’è carburante migliore nella vita.
Sarà per questo che ogni tanto, anche se di rado, vengo qui a bussare alla porta di una casa affacciata sul fiume. Ho bisogno di incontrare occhi sinceri, di ascoltare le sue parole scandite lentamente, di lasciarmi rapire da racconti che traboccano di sapere orientale e di libri letti, sottolineati e un po’ sgualciti, ma anche di vita vera nella sua veste agrodolce.
Lei ed io non ci vediamo tanto spesso. Siamo agli antipodi. Scherzando mi riprende spesso come farebbe una madre, dicendo che non mi fermo un attimo… eppure è una delle amiche più care che ho.
Quando vado via, dopo che abbiamo praticato insieme esercizi di yoga a piedi nudi sul prato e dopo aver parlato di mille cose davanti a un buon caffè, è come se portassi via con me qualcosa di nuovo, è come se il tempo insieme mi rigenerasse ogni volta un po’.
Stavolta ho preso una piccola gru di carta e una storia mai sentita prima, che giunge dal lontano Giappone.
“Questa l’ho fatta per te!” mi ha detto poco prima che me ne andassi, posandomi sul palmo della mano la gru di origami.
“Nella cultura orientale – mi ha spiegato − le gru sono simbolo di buon auspicio. Una vecchia leggenda dice che chiunque riesca a piegarne mille, o chi per lui, vedrà esauditi i desideri del proprio cuore”.
In pochi minuti, con le sue parole, è come se mi avesse presa per mano e trascinata oltreoceano e contemporaneamente a ritroso nel tempo, fino ad arrivare al 6 agosto del 1945: una data che segnò la storia. Sadako Sasaki era una bambina di soli due anni e quel giorno fu vittima delle radiazioni della prima bomba atomica all’uranio, Little Boy, sganciata su Hiroshima.
Nel poco tempo che sono rimasta sola, mentre cercavo le chiavi della mia auto in borsa, con la mano destra ho alzato la gru verso il cielo come per immaginarla spiccare il volo: sopra la mia testa e i miei pensieri, sopra il letto di questo fiume che scorre impetuoso, più su delle fronde degli alberi e dei comignoli delle case, in questa calda giornata di giugno.

CONTINUA




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