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Il Fiore della Vita

il diario-romanzo

In copertina: cascata presso la Reggia di Caserta. Immagine tratta dal sito michelangelobuonarrotietornato.com

CAPITOLO IV

15 marzo

La mia giornata è iniziata così, nel traffico di Napoli al telefono con mamma, papà, commercialista, nonna, zia, amico, presunto amico, ex fidanzata, ex ex fidanzata, amica disperata, grafico nullafacente, lavori da terminare, soluzioni da trovare: mollatemi tutti! Sono appena le 18.00 e mi trovo sul raccordo anulare, sempre al cellulare, direzione aeroporto di Fiumicino, un carissimo amico sta tornando da Cuba, gli avevo promesso, già prima che partisse, che avrebbe potuto contare su di me per un passaggio quando sarebbe tornato.

Non è che sia masochista, piuttosto mi riesce difficile negarmi, soprattutto agli amici. Pochi a dire il vero, e spero che il numero già esiguo ma autentico fino ad oggi, non si assottigli nel tempo. Ho il terribile difetto di credere nel valore della promessa, è un handicap grave per la società in cui vivo, dove la parola d’ordine invece sembra essere “interesse”, quello personale ad esser precisi.

Sarà un brutto vizio?

Ebbene spero di poterci morire, in fondo una vita senza alcun vizio non è forse noiosa? Dopo quasi quattro ore di traffico giungo all’aeroporto, parcheggio ed entro cercando il terminal giusto. Vedo tre giovani cubane sedute. Decreto a me stesso che la ricerca è finita, fosse stato anche un altro terminal, io avrei aspettato lì, di fianco alla bellissima Cuba.

Mi avvicino, chiedo informazioni riguardo al volo. Oltre la bellezza c’è anche una certa simpatia, molto bene. Mi trovavo proprio nel posto giusto ma sfortunatamente per me, le ragazze aspettavano un’amica per imbarcarsi, weekend in Spagna, beate loro, non avevo notato nemmeno le valigie al seguito. Cinque minuti, il tempo di conoscerci e salutarci, giunge l’amica e così vanno via.

Rimango seduto, guardo il tabellone, mancano venti minuti all’arrivo dell’aereo e non porta ritardo. Come vorrei essere io stasera a dover partire, ne avrei proprio bisogno, staccare dalla routine di problemi e seccature per raggiungere un Paese lontano. Penso a dove vorrei essere ed ecco ritrovarmi su un lungo corso alberato: flashback. Prima che lo pensassi si palesa davanti a me il ragazzino, Valentino, forse avrà un anno in più rispetto all’ultima volta che mi è apparso in azienda. Non è solo, con lui c’è il padre Umberto, sono in fila indiana, ognuno sulla sua bicicletta, camminano lungo il viale lasciandosi alle spalle un lungo corso di palazzi.

Sono già stato in quel luogo, mi trovo in Corso Giannone a Caserta e quell’immenso giardino alberato al di là della strada, è il parco reale della reggia. Vedo i due entrare in un accesso al parco, li seguo e siamo subito dentro. La regalità del luogo, gli immensi spazi, le figure geometriche con le quali sono stati disegnati i giardini, tutto rasenta la perfezione. Statue si erigono in ordine sparso, sulla sinistra l’imponente complesso architettonico del palazzo, alla mia destra una lunga serie di vasche piene d’acqua, salgono una dentro l’altra sino ad un colle, intervallate da piccole cascate dovute al dislivello, tutto di matrice Vanvitelliana.

Lo sguardo si perde e si appaga nella regalità del luogo, che appare fiabesco nella sua essenza, nella grandezza che pare immensa, nei profumi che inebriano il respiro. Valentino ed il padre pedalano uno di fianco all’altro, in salita, tranquillamente, senza correre. A pensarci bene, è la prima volta che vedo Valentino non correre, pacato anche nei movimenti, forse sarà la presenza del padre, forse qualcosa lo avrà reso posato.

I ragazzi alla sua età hanno un altro portamento, invece lui sembra già grande e per un attimo, ripenso a Don Carlo. Non voglio angustiarmi adesso, desidero godermi il momento, il luogo, seguirli. Non riesco a sentirli, il tempo scorre veloce, ma il solo essere lì, guardare la loro complicità, mi rasserena. Ci sono momenti in cui non occorrono parole, conta l’intesa.

Quell’amore tra padre e figlio può essere più forte di qualsiasi disavventura.

Tempus fugit, come una bella canzone di pochi minuti, vorrei poterla riascoltare ma non mi è concesso, è pomeriggio e siamo in cima alla collina. Dinanzi a noi una grande vasca, ai piedi di una cascata artificiale, spenta in quel momento. Fuoriescono dall’acqua opere scultoree raffiguranti il mito di Diana e di uomini trasformati dalla dea in esseri metà umani e metà cervi, rei di averla spiata mentre nuda si bagnava nelle acque. Storie d’altri tempi che, in quella cornice surreale, appaiono quasi verosimili. Appoggiano le bici col manubrio vicino la ringhiera che delimita la vasca, inerpicandosi, Umberto davanti e Valentino dietro stavolta, lungo un sentiero in salita dai gradini in pietra viva, che costeggia il lato destro della cascata. Li seguo finché non raggiungiamo la cascata a metà della sua altezza.

Da quel luogo il panorama è senza eguali. L’intero parco della reggia, una parte della città di Caserta, il vialone Carlo III, l’immensa pianura, il Vesuvio che, come gigante dormiente, impone da lontano la sua presenza. La flora circostante e secolare in cui siamo immersi, alimenta quella sensazione magica che mi ha rapito dal primo passo varcato all’ingresso. Umberto aiuta Valentino a salire sulle rocce della cascata, ma siamo defilati e il ragazzo vuol spingersi verso il centro, dove l’acqua si infrange per poi continuare a scendere giù, fino alla vasca. Penso, “speriamo rimanga spenta”, le rocce sono umide, ma non c’è acqua. Credo sia inibito al pubblico spingersi fin lì, ma ho l’idea che la paura alberghi raramente nei loro cuori.

Valentino è in piedi e si avvicina al centro della cascata. Il padre lo invita a sedersi, a procedere da seduto, spostandosi pian piano sul bordo che a strapiombo cadeva giù per diversi metri. Il ragazzo fa esattamente come gli viene detto, nell’emozione del momento.

È lì adesso, seduto al centro della cascata, quasi fosse un trono naturale, destinato a chi sa spingersi oltre il limite, le restrizioni, le convenzioni, per chi sa essere anche emozione e, vivendo, emoziona.

Sento la voce del padre:

 «Valentino, ricorda bene questo momento, non lo dimenticare».

 Senza nemmeno girarsi, come se stesse ascoltando un richiamo ben più lontano, il ragazzo annuisce, guardando sempre avanti, rapito probabilmente anche lui dal momento e dal desiderio, forse come me in quel momento, di spiccare il volo.

Il telefono suona e sono nuovamente nel luogo che non ho mai abbandonato, in aeroporto, è Tommaso, finalmente mi aspetta ad un’altra uscita. Sono pervaso da un senso di benessere, seppur stanco. Ci aspetta un viaggio di ritorno fino a Battipaglia per poi proseguire, io soltanto, ad Agropoli.

Quei bei momenti hanno raddrizzato la giornata.

Permangono le noie, ma quel pensiero intriso di bene profondo, mi ha reso positivo. Abbraccio finalmente il mio amico e ci incamminiamo insieme verso l’auto. Lo trovo dimagrito, stanco, immagino per motivi ben più piacevoli di quelli che mi hanno ridotto, stasera, ad avere il volto di un panda. Ho voglia di ascoltare i suoi racconti ed organizzare, magari insieme, il prossimo viaggio.

Alfredo Francesco Caiazzo

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