Spingersi o Rimanere

In Copertina: Dipinto di Marc Chagall, Il Viaggiatore, 1917
Grafite e Acquarello su Carta, Sam and Ayala Zacks Collection.

Vorremmo poterci difendere da tutto eppure ci ritroviamo sempre piĂą esposti a pericoli dentro e fuori di noi.


L’iperprotettivismo suggerisce di essere cauti, di prevedere il prevedibile e finanche l’imponderabile. Cerchiamo di assicurarci una vita tessuta in morbide maglie di cashmere, nella costante apprensione di veder compromessa la confortevole e tanto agognata routine.
Figli di una societĂ  che propone-impone modelli esistenziali, di lavoro, socialitĂ , di esperienze,

per poi convergere verso cosa?


La vulnerabilità della vita sospinge cuore e mente a bramare sicurezze, certezze che la precarietà sembra non essere in grado di offrire: la paura, di perdere ciò che amiamo, libertà, comodità, l’idea di vita che con fatica ci siamo costruiti o che abbiamo tentato di saldare pezzo su pezzo, come una torre di ferro dalle mille saldature ben nascoste da frasi di circostanza.


La paura, una lama a doppio taglio in grado di recidere la speranza di ogni possibile progressione oppure strumento interiore finalizzato a proteggere e preservare l’esistenza?
Chi può dirsi perfettamente protetto da questa spada affilata?
Arma da cui proteggersi e al tempo stesso sostanza liquida, invisibile, da iniettarsi attraverso la parola, lentamente si diffonde, sollecita debolezze, rallenta funzioni vitali finché non giunge l’antidoto, proposto spesso da colui-coloro che hanno generato il veleno, come serpenti, procurano e leniscono il loro stesso male.


L’azione della paura genera reazioni di protezione, di sopravvivenza e, a volte, di sfida.
Una stessa parola può chiuderci in noi stessi o aprirci verso qualcosa di nuovo, di inesplorato, saltando e superando il prossimo limite.
Cosa sarebbe accaduto se avessi intrapreso questo o quello, se avessi manifestato chiaramente il mio sentimento, il mio pensiero… o se non l’avessi fatto.
Quante volte ci siamo posti simili interrogativi, quante!
Il rischio di fallire, di perdere senza la speranza di poter conquistare il nuovo che avanza inesorabile, magari anche soltanto come possibilitĂ  data a se stessi di cambiare, di migliorarsi, di superarsi o di poter preservare quanto ottenuto, dovendo per questo necessariamente mutare ogni propria condotta.


Il protezionismo spesso è una prigione nella quale si ama vivere, ospitare, condividere e proteggere.

Ma proteggere cosa da chi?

Sono reali le nostre paure o soltanto frutto di una personale ed errata percezione del circostante?
La parola, ancora una volta ritorna protagonista in un percorso che non detta soluzioni, ma desidera invece interrogarsi sull’opportunità di preservare o superarsi.


“Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi” diceva Tancredi nel Gattopardo, mirabile opera descrittiva di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Non è forse così?
In un mondo che muta a velocitĂ  sempre crescente il bisogno di preservare, proteggere non appare forse come la naturale traslitterazione del necessario cambiamento?


Eppure, il cambiamento finalizzato a seguire il nuovo percorso del gregge, dona quel rassicurante senso di appartenenza.

Appartenere a cosa o a chi? Ed è sempre auspicabile?

Si può forse definire il meglio nella circostanza qualsiasi decisione presa dai più, perché proposta come buona e necessaria, come cambiamento inevitabile dei tempi?

Siamo realmente noi a decidere per noi stessi o forse seguiamo, piĂą o meno inermi, un inesorabile flusso di pensiero?

A volte, ogni voce fuori dal coro appare sferzata, mentre chi viene proclamato come alternativo, spesso, non guida in totale autonomia, ma segue anch’egli la voce del pensiero dominante, figlio di una libertà soltanto proclamata, priva del suo stesso spirito creatore.
Quale voce?
Il sussurro della paura, paura di scoprirsi soli in una società che al ragionare sembrerebbe prediligere seguire, intriso dallo spettro dell’isolamento, dell’angosciante solitudine di non sentirsi apprezzati, riconosciuti, e per questo emarginati.
E’una strana sensazione del vivere barattare la vera, unica ed autentica libertà di pensiero con l’ideologia, temere il confronto, il contrasto, così da star bene, per vivere in pace.
Eppure, trattasi di vera pace?


Un susseguirsi di riflessioni conducono inesorabilmente a ben altre domande da porsi innanzitutto verso se stessi.

A che punto della vita mi trovo?

Quale effetto suscita la paura sulle mie azioni?

Quanto sono disposto a perdere per guadagnare un’esistenza che possa definirsi degna di essere vissuta?


Non saprei come definire l’equilibrio tra spingermi e rimanere, non lo conosco, ma non per questo smetterò di ricercarlo, ogni giorno, in ogni momento.

Alfredo Francesco Caiazzo