Legittima difesa e vendetta

In copertina: Il Giudizio Universale, affresco di Michelangelo Buonarroti, realizzato tra il 1536 e il 1541 su commissione di Papa Clemente VII, Città del Vaticano, Cappella Sistina.
LEGITTIMA DIFESA E VENDETTA

Sarà forse il mestiere che svolgo da oltre venti anni (l’avvocato), ma le ultime vicende del Medio Oriente, il vile ed infame attacco di Hamas al popolo ebraico, la reazione di Israele, mi hanno indotto a pormi una domanda, la cui risposta ritengo sia importante per ciascuno di noi, per la vita di ogni giorno: dove finisce la legittima difesa e dove inizia la vendetta?
Mi spiego meglio: di fronte ad un’aggressione, qual è il limite da non oltrepassare affinchè la difesa dell’aggredito non si trasformi a sua volta in aggressione, diventando vendetta per il torto subito?
Devo fare una premessa: le mie considerazioni sono indipendenti da quanto sta accadendo in Israele e hanno carattere generale; la recente guerra mi ha fornito solo l’occasione per riflettere sull’argomento.
Non è pertanto mia intenzione analizzare il conflitto israelo-palestinese, che dura da oltre settant’anni ma ha le radici negli ultimi tremila anni di storia (per altro, non ne sarei capace, in quanto non conosco la storia dei due popoli, non conosco sufficientemente la Terra Santa e non sono sul campo di battaglia, elementi necessari per poter parlare in modo appropriato dell’argomento); né ho alcuna pretesa di cercare colpe e dare giustificazioni.
Non ho nemmeno una soluzione, ma vorrei solo indurre i lettori a ragionare sul problema.
Ovviamente, il primo terreno di indagine è quello della legge e precisamente del Codice Penale italiano: la difesa è sempre legittima se chi agisce (contro l’aggressore, procurandogli un danno più o meno grave, sino all’estremo dell’uccisione) è costretto dalla necessità di salvare sé stesso o qualcun altro dal pericolo attuale di una offesa ingiusta, ma la difesa deve essere proporzionata all’offesa.
Ci sono alcuni casi in cui la legge ritiene che la difesa sia sempre proporzionata all’offesa: quando il fatto avviene nel domicilio dell’aggredito, o nel suo negozio o dove comunque svolge la sua attività lavorativa.
La legge italiana, quindi, non pone una linea netta di demarcazione, di qua i buoni, di là i cattivi, ma sostanzialmente afferma che caso per caso dovrà essere analizzata la dinamica dei fatti e solo allora potrà essere giudicato chiunque affermi di aver aggredito l’altro per difendersi da un’aggressione.
In tal modo viene dato ai giudici un ampio margine di discrezionalità, non c’è alcun automatismo.
Forse tale scelta del Codice Penale potrà sembrare insoddisfacente, ma probabilmente è la più corretta, o meglio, l’unica possibile.
Diversamente, il legislatore avrebbe dovuto indicare tutti i casi di legittima difesa astrattamente configurabili, ma è impossibile prevederli tutti e comunque sarebbe stato un elenco talmente lungo da riempire l’intero codice.
Tuttavia, tale indagine per me non è sufficiente, perché prima di essere un cittadino sono un uomo ed un figlio di Dio.
E’ certamente utile conoscere se ed in quali casi un giudice potrebbe condannarmi, ma per me è molto più importante sapere se, di fronte a Dio, sono colpevole oppure no.
E quindi, la mia indagine si è spostata sulla definizione di legittima difesa posta dalla Chiesa Cattolica, la quale ha l’aspirazione ad essere universale, pertanto non limitata al territorio italiano (come il nostro Codice Penale), e conseguentemente valida per ogni uomo di ogni epoca e di ogni latitudine.
La Chiesa espressamente pone un principio fondamentale: l’amore verso sé stessi e la difesa della propria vita viene prima di tutto il resto (anche e soprattutto prima dell’amore verso gli altri).
Di conseguenza, chi difende la propria vita dall’aggressione altrui, non si rende colpevole di omicidio (nel caso in cui uccidesse a sua volta il proprio aggressore) o lesioni (nel caso in cui lo ferisse).
Anche qui, come nel Codice Penale italiano, è fondamentale che la reazione sia proporzionata all’offesa, infatti: “se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita. E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui (San Tommaso d’Aquino e Catechismo della Chiesa Cattolica).”
E’ chiaro: l’anima è salva nel caso in cui tu uccida qualcuno che voglia togliere la vita a te o a qualcun altro, purchè, ovviamente, la violenza utilizzata non sia maggiore di quella necessaria a vincere l’aggressore.
Un secondo principio viene affermato: chi è responsabile per la vita altrui (come ad esempio lo Stato, che viene indicato esplicitamente quale soggetto avente tale onere), ha un vero e proprio dovere di difendere la vita dei suoi protetti.
Non solo, ha anche il dovere di contenere il “diffondersi di comportamenti lesivi dell’uomo e delle regole fondamentali della convivenza (Catechismo della Chiesa Cattolica)”, proprio perché la difesa della vita è al primo posto nella scala dei valori.
Anche qui, come nel Codice Penale, non viene indicata una linea di demarcazione che separa i comportamenti leciti da quelli illeciti, ma vengono forniti una serie di canoni interpretativi affinchè si possa giudicare correttamente una condotta.
Alla luce di quanto scritto, ognuno potrà farsi la sua idea di quale sia il limite oltre il quale la difesa legittima si trasforma in vendetta.
Ritengo che non esista una risposta univoca per ogni caso e che tutti, in coscienza, sappiano quando la propria reazione sia stata obbligata e proporzionata all’offesa, oppure sia il frutto di un sentimento di rivalsa per un’ingiustizia subita, indipendentemente dall’eventuale giudizio della magistratura.
Ma attenzione, essere consapevoli di ciò, non corrisponde ad essere pentiti di aver travalicato la legittima difesa, provocando un ingiusto danno all’altro: se sono cosciente di aver agito per vendetta, non significa che sia pentito di averlo fatto, né la possibile assoluzione di un giudice che ritenga che io abbia agito per legittima difesa mi potrebbe assolvere davanti a Dio, se fossi cosciente di aver agito per ritorsione e per di più ritenessi giusto averlo fatto.
Un’ultima riflessione: mi sembra evidente che la definizione di legittima difesa della Chiesa Cattolica essenzialmente coincida con quella dello Stato italiano.
Tale fatto mi ha portato ad un’ulteriore considerazione che esula dal tema trattato, ma che reputo interessante e degna di essere approfondita: la sostanziale coincidenza tra le due definizioni costituisce la prova che il pensiero e la cultura cristiana (preesistenti) abbiano permeato e formato il pensiero, la cultura e la società occidentale moderna (o per lo meno italiana), costituendone le fondamenta, nonostante l’attuale laicità dello Stato.
Ma questa è un’altra storia …

Antonini Andrea